“Così non schwa”, di Andrea De Benedetti

Il saggio del 2019 della linguista Vera Gheno Femminili singolari avrebbe avuto meno risonanza se non avesse ospitato un capitolo dedicato a una proposta linguistica avanzata da alcuni ambienti della comunità LGBTQ+: l’uso dello schwa (ə) per indicare il genere neutro, con lo scopo di superare la distinzione binaria grammaticale maschile/femminile. Senza quella proposta, nemmeno il linguista, giornalista e professore di liceo Andrea De Benedetti avrebbe pubblicato Così non schwa (Einaudi, 94 pp.), un volumetto utile per riannodare i fili di una questione che si inserisce nel più ampio dibattito sull’inclusività della lingua. 

Lo schwa è un simbolo fonetico che riproduce un suono che non è presente nell’italiano. Si ritrova, invece, in alcuni dialetti centro meridionali (la e finale del nome dialettale di Napoli, Napule, ad esempio). Il punto è che la proposta di Gheno non solo ha avuto successo presso la casa editrice effequ, che l’ha adottato come standard grafico; il successo è arrivato lontano: annunci riguardati l’uso dello schwa sono stati fatti dal Liceo Cavour di Torino e dal Comune di Castelfranco Emilia, mentre vi hanno fatto ricorso le giornaliste e scrittrici Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, fino ad arrivare all’impiego ufficiale che ne ha fatto il Miur in ben sei verbali (“professorə”). 

La risposta, anche da parte di linguisti di professione, non si è fatta attendere, dalla petizione di Massimo Arcangeli (Pro lingua nostra), all’intervento dell’Accademia della Crusca, con l’obbiettivo di evitare l’ulteriore diffusione dello schwa. Detto ciò, come scrive De Benedetti, “due anni di dibattito sul sesso degli schwa, tuttavia, dimostrano che le battaglie sui significanti sono molto più popolari e facili da combattere di quelle sui significati”. E aggiunge: “Per le prime, infatti, basta qualche rapida ritoccatine al codice; per le seconde bisogna andare a smontare l’intera impalcatura culturale del nostro pensiero, e ci vogliono generazioni”. Ma siamo così sicuri che l’introduzione dello schwa sarebbe una “rapida ritoccatina”? 

Per la verità, come spiega anche De Benedetti, l’introduzione di un “fonema flessionale” come lo schwa – cioè di un suono che ha un carattere distintivo e definisce il genere – complicherebbe il sistema linguistico senz’avere le garanzie di un’effettiva utilità. Le garanzie di complicare il quadro linguistico, invece, sono certe: sarebbe necessario non solo declinare i sostantivi al neutro, ma anche accordare gli aggettivi, i predicati e i pronomi (quali, peraltro?, si domanda De Benedetti). Insomma, come recita un articolo della linguista Cecilia Robustelli comparso su Micromega, lo schwa rischia di diventare “una toppa peggio del buco”. 

Nonostante le piccole dimensioni, il libro contiene anche altre interessanti questioni (il maschile sovraesteso, l’ambiguità della rivendicazione identitaria, l’urgenza di alfabetizzare i nuovi italiani…), e presenta un suggerimento condivisibile: “Meglio dunque stare zitti e aspettare che la febbre dello schwa faccia il suo corso. Nella speranza che, prima o poi, si torni a parlare d’altro”.  

Federico Pani

Il Piccolo di Cremona, 25 giugno 2022

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