Dante e il rap, l’intervista a Luca Bellone

Parlare di versatilità per la Commedia dantesca non è retorica, e lo dimostra la straordinaria influenza dei versi del poeta in ambiti apparentemente lontani, come la canzone e il rap. Ne abbiamo parlato con Luca Bellone (nella foto), professore di Linguistica italiana presso l’Università di Torino. Bellone, che nella sua ricerca vanta approfonditi lavori sui linguaggi giovanili, ha condotto uno studio sulla presenza di Dante nella musica rap italiana.

Anticipiamo uno dei risultati del suo studio: Dante è capillarmente presente negli autori rap italiani: come spiega una presenza così forte? Che sia dovuta soprattutto alle reminiscenze scolastiche?

Credo che una delle ragioni stia nell’adattabilità del poema alle diverse modalità della narrazione: dalle più tradizionali, come il romanzo e il racconto, fino alle più moderne, come il fumetto, le serie tv, la canzone e, appunto, anche il rap. La Commedia è riuscita infatti a descrivere un universo di personaggi, di storie e di situazioni che costituisce una materia che può continuamente essere riattivata, reinterpretata e arricchita da nuove sensibilità. Il genere ricorre al testo dantesco in modo consapevole, sia per le storie che racconta, sia per il modo in cui le racconta, un parlare ritmato che pare talvolta ricordare i metri narrativi della poesia italiana, e tra questi, in particolare, proprio la terzina. Inoltre, è senza dubbio il genere più adatto per recuperare e riscrivere gli episodi infernali della Commedia: le storie del rap sono spesso dedicate alla realtà “della strada”, a storie difficili e alle diverse manifestazioni del disagio giovanile proprie delle periferie delle grandi città. Non può essere allora un caso che tutti i riferimenti danteschi siano legati alla sola cantica dell’Inferno. Sin dalle origini, i rapper hanno raccontato questi “inferi” personali, ricorrendo a riferimenti culturali, usati il più delle volte come referenti metaforici; alcuni studiosi chiamano questi referenti culturemi, ossia riferimenti culturali condivisi dagli ascoltatori.

Per spiegare il successo di Dante nel rap non credo però basti la conoscenza del testo per tramite scolastico. Non c’è infatti autore rap, di ieri o di oggi, che non abbia in qualche modo evocato Dante, inserendolo almeno una volta nella sua opera. In questo, il rap radicalizza quanto accade nella canzone d’autore che, pur con qualche eccezione, guarda anch’essa soprattutto all’Inferno. Ma oltre alla ragione tematica ce n’è una stilistica. Si dice che i brani rap non vadano mai a capo, proprio per la natura del loro testo articolato: è in effetti spesso difficile individuare i confini tra le barre (così vengono chiamati i versi nel gergo dell’hip hop); si configurano piuttosto come poemi in prosa. Questo racconto messo in canzone deve dunque usare delle figure di suono come la rima, l’allitterazione e l’anafora, che sono proprie della poesia. Credo che il successo dell’opera dantesca, perciò, arrivi dall’incrocio di ragioni stilistiche e tematiche, a cui certo si somma l’approfondimento scolastico.

Quali sono i canti più citati e gli episodi di rilettura a suo giudizio più notevoli?

Tra i canti più rappresentati – e qui le reminiscenze scolastiche, certo, giocano un qualche ruolo – c’è il primo con la “selva oscura”, e il terzo con la celeberrima iscrizione sulla porta dell’Inferno (Per me si va nella città dolente…); poi troviamo naturalmente il quinto canto, il primo a essere ripreso nel rap grazie a Serenata rap (1994) di Jovanotti e alla celebre coppia di versi “Amor che a nullo amato amar perdona porco cane,/ lo scriverò sui muri e sulle metropolitane”.

Tra i rapper che hanno mostrato più affezione nei confronti di Dante ricordiamo Caparezza e Tedua. Tuttavia, un’attenzione specifica va dedicata a Murubutu e Claver Gold, esponenti del cosiddetto rap didattico o letteratura rap, un filone che ha dei tratti originali: conserva la struttura stilistica e testuale del genere, ma utilizza come fonti dei variegati modelli letterari. Aggiungo a margine un particolare non trascurabile: Murubutu, il cui vero nome è Alessio Mariani, è professore di storia e filosofia nella scuola superiore. Il disco dei due artisti, uscito nel 2020, si chiama Infernum, ed è una riscrittura della cantica, in cui ogni brano riprende e riattualizza un episodio dell’Inferno per descrivere il presente. Ad esempio, nel brano dedicato a Pier delle Vigne – il cui titolo è Pier – non c’è più traccia del notaio presso la corte di Federico II, ma si avverte chiaramente la reminiscenza della sua fine, ossia il suicidio: la canzone racconta infatti di un ragazzino che si è tolto la vota a causa dei ripetuti atti di bullismo che ha subito a scuola; al suo posto, a rappresentarlo, nel cortile dell’istituto, c’è ora un albero di vite, evidente, ulteriore richiamo al nome del protagonista del XIII canto dell’Inferno. Tranne il caso dell’album Inferno del gruppo prog Metamorfosi – ma che andrebbe letto a mio giudizio in modo diverso – mai si era assistito a una simile riscrittura del poema dantesco.

È curioso che altri personaggi letterari comunque presenti nell’immaginario scolastico, come Renzo e Lucia solo per fare un esempio, non abbiano fatto breccia nel genere.

In effetti, la storia di due persone che si vogliono semplicemente sposare può interessare poco; i personaggi che potrebbero ispirare qualche storia nel rap sono, al più, don Rodrigo o la Monaca di Monza. C’è comunque un fatto: parlando di riferimenti letterari, nel rap, c’è praticamente soltanto Dante. Eppure, nel genere le figure letterarie non mancano; ma sono perlopiù figure mitologiche, come l’Ulisse omerico. Un lavoro come quello su Dante sarebbe ben difficile da compiere con qualche altro autore. Uno dei motivi è che questa musica guarda poco alla cultura percepita come alta; i riferimenti del rap sono altri: il cinema, il fumetto, oggi i social, le serie tv e il mondo digitale; nel caso delle giovanissime generazioni, poi, i social e il digitale sono la fonte principale d’ispirazione. La trap si differenzia dal rap proprio per questo: sono testi scritti da autori giovanissimi e costituiscono il primo genere dipendente dal mondo digitale. Non è un caso che i trapper siano diventati famosi all’inizio grazie a YouTube ma, ormai, soprattutto grazie a Tiktok.

Nella tua attività hai avanzato la proposta di usare alcuni testi rap a scopo didattico: in che modo?

Di fronte a un simile repertorio mi è sembrato necessario immaginare possibili sviluppi didattici, soprattutto con i ragazzi che oggi studiano per diventare insegnanti. Del resto, ormai da diversi anni i testi di didattica suggeriscono di ricorrere alla canzone, sebbene a farlo siano soprattutto quelli dedicati all’insegnamento dell’italiano come lingua straniera. È un peccato, perché ci sarebbero delle buone ragioni per farlo anche nell’insegnamento ai madrelingua. Si può innanzitutto fare leva sull’aspetto motivazionale: fare ascoltare un brano musicale in classe può senz’altro essere piacevole. Pur non essendo un esperto di didattica e di pedagogia, posso dire infatti che la canzone tocca aspetti affettivi, sui quali i docenti possono fare leva per migliorare l’apprendimento. Poi, c’è un ruolo sociale, in quanto da tempo la canzone ha molta importanza nella formazione dei giovani. Infine, c’è una ragione letteraria. Esiste un repertorio retorico ed espressivo che avvicina una certa canzone alla tradizione letteraria, pur con le debite distinzioni del caso. Oltre che come fenomeno culturale, la canzone può essere studiata quindi come oggetto paraletterario dal punto di visto di vista stilistico: penso alle figure retoriche, di senso, di suono, e non solo, che si possono fare scoprire in modo induttivo. Si comincia da lì, insomma, per arrivare alla letteratura, sfruttando le conoscenze inconsce e le competenze pregresse, affinché poi il docente le riprenda e le razionalizzi per fini didattici.

Aggiungo un episodio che mostra come questo approccio potrebbe essere proficuo. A novembre del 2021, abbiamo organizzato un incontro con le scuole legato alla didattica e al rap. Avevamo preventivamente somministrato un questionario a circa un migliaio di ragazzi delle scuole di Torino per capire in che modo interagissero e riflettessero sui testi delle canzoni; questi dati sono stati poi incrociati con le loro abitudini di consumo musicale. Alla fine del questionario, compariva un test nel quale gli studenti erano chiamati a riconoscere delle figure retoriche in alcuni testi letterari. Quel che è emerso è che i ragazzi che ascoltano prevalentemente rap hanno sviluppato un’attenzione e una sensibilità particolare verso quei fenomeni linguistici condivisi tra canzone e letteratura. Sono peraltro anche i ragazzi più interessati a saperne di più, a cominciare dal voler conoscere i nomi delle figure retoriche; ma, ad esempio, sono interessati a ragionare anche sul perché alcuni fenomeni danno piacere all’orecchio. Il senso dell’operazione è che il docente possa sfruttare questa sensibilità: dopo aver fatto scoprire alcune figure retoriche tratte da brani rap (ma non solo), può traslare allora l’attenzione verso i componimenti letterari tradizionali. In questo modo, si troverebbero intrecciate la motivazione, la continuità e il ricorso alle tecniche d’apprendimento induttive.

Federico Pani

Una versione ridotta è comparsa sul Piccolo di Cremona del 9 luglio 2022

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