“La letteratura albanese: evocativa e finemente descrittiva”, l’intervista a Anna Lattanzi

All’inizio del 2021, l’Istat censiva oltre 433mila cittadini albanesi residenti in Italia: si tratta della seconda comunità straniera più numerosa nel Paese (al primo posto ci sono 1milione e 76mila cittadini romeni). A dividere l’Italia dall’Albania è un esiguo braccio di mare, eppure, molto poco si sa della cultura e, ancora meno, della letteratura albanesi. Proprio di letteratura abbiamo chiesto di parlarci ad Anna Lattanzi (nella foto), critica letteraria, redattrice di Albania News e Albania letteraria, interessata alla letteratura albanese.

Ci tracci un panorama, per quanto è possibile, della letteratura albanese contemporanea?

Partirei dal periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, quando la letteratura albanese conosce un’importante evoluzione. Le opere che vedono la luce in quel periodo nascono dalla penna di autori che si ispirano al passato, prendendo spunto dalla lunga dominazione ottomana subita dall’Albania o dalla resistenza contro il nazi-fascismo. In questa epoca ritroviamo alcuni nomi di autori che hanno segnato la storia della letteratura albanese contemporanea, come Dritëro Agolli, dalla ricca produzione libraria, che trova la sua massima espressione nelle rievocazioni epiche e nelle storie che hanno come sfondo la crisi sociale. Una grande personalità letteraria conosciuta a livello mondiale è Ismail Kadaré: attraverso la sua penna ha disegnato la storia dell’Albania del passato e di oggi. Un’opera molto corposa la sua, tra racconti, poesie, novelle, romanzi, saggi, tradotta in più di 60 Paesi nel mondo. Un’altra figura importante è quella di Pietro Marko scrittore e giornalista, considerato uno dei padri fondatori della moderna prosa albanese.

Con l’avvento del regime, nasce il realismo socialista: scrittori e intellettuali vengono chiamati a indottrinare le masse e la letteratura diventa uno strumento politico nelle mani del totalitarismo. In quel periodo, la follia del dittatore Enver Hoxa imprigiona e spesso condanna alla pena capitale diversi scrittori e intellettuali con l’accusa “tipo” di propaganda contro il regime. Con la caduta della dittatura (1991), nascono nuove voci letterarie, come Visar Zhiti, perseguitato politico e oggi uno scrittore di successo a livello internazionale, come l’autore e analista Fatos Lubonja, anch’egli incarcerato per aver scritto dei diari, o Vera Bekteshi, figlia dell’alto ufficiale dell’esercito Sadik Bekteshi, condannata con la famiglia a sedici anni di duro esilio. Ed è con loro che nasce la cosiddetta “letteratura del carcere”, con lo scopo di lasciare una testimonianza di una drammatica realtà.

L’attuale panorama letterario albanese è costellato da autori di successo, come Diana Çuli, tra le più prolifiche scrittrici, Stefan Çapaliku, Tom Kuka, Ylljet Aliçka, Besnik Mustafaj e altri. Si narra di Albania nei loro libri, in maniera consapevole e tratteggiando il profilo della nazione a 360° con una modalità non giudicante, ma limpidamente eruditiva.

Quali sono i temi trattati di più? Nella tua percezione di critica letteraria, si discostano molto da quelli più frequenti della letteratura italiana?

Trovo che la maniera di narrare degli autori albanesi sia unica; la loro penna (mi riferisco ai più validi), è altamente evocativa e finemente descrittiva. Intendo dire che amano perdersi in una dovizia di particolari capace di trasportare il lettore nella storia, di renderlo parte attiva e non spettatore, creando una narrazione profondamente realistica e di grande tangibilità. Un’intrinseca qualità, che ancora è ben mantenuta nella letteratura proveniente dall’Albania. Le tematiche affrontate sono le più svariate: teniamo presente che stiamo parlando di una nazione dal patrimonio storico-culturale ricchissimo. Indubbiamente, la letteratura è uno degli strumenti più preziosi che meglio permette di  narrare di questo variegato Paese. Oggi l’Albania vanta autori come Tom Kuka (Enkel Demi), che fa un affresco della sua terra attraverso la narrazione di storie tramandate oralmente, la descrizione del mito, quella del canto, producendo un ritratto della nazione fedele a sé stesso.

Dando un’occhiata alla poesia, posso fare riferimento a Luljeta Lleshanaku, la cui famiglia è stata oppressa dal regime e per questo i suoi componimenti si riempiono di nostalgia. Come non citare Fatos Kongoli, uno dei maggiori esponenti della letteratura contemporanea albanese, che presenta spesso argomenti di alta drammaticità, incastonandoli in un mondo surreale o ironico. Virgjil Muçi racconta del suo Paese dando una connotazione biblica al suo percorso politico-sociale, mentre Ardian Vehbiu narra del sogno italiano, in parte infranto. Indubbiamente, è importante approcciarsi alla produzione letteraria albanese tradotta, spogliandosi da ogni pregiudizio e con la consapevolezza di incontrare un pezzo di preziosa letteratura.

L’Italia è, o almeno è stata, una terra d’arrivo per molti albanesi. Ci parli della letteratura come affresco di questo rapporto e intreccio di culture?

La letteratura è libertà e come tale varca i confini; così è stato anche per quella albanese, che grazie al lavoro dei traduttori e di alcune case editrici, ha conosciuto terra italiana permettendoci di entrare un mondo letterario e culturale di forte unicità. Molti grandi nomi della letteratura italiana sono approdati in Albania, grazie al notevole impegno di traduttori albanesi di spessore, come Mimoza Hysa, per esempio e di editori che ci hanno creduto e ci credono. Inoltre, con il fenomeno migratorio, sono giunte nel nostro Paese figure amanti della scrittura e alcune di esse si sono trasformate in validi autori italofoni (scrivono in italiano), come Elvira Dones, Darien Levani o il sociologo e intellettuale Rando Devole.

Non dimentichiamo gli italiani che si interessano e si sono interessati all’Albania scrivendone, come il compianto Alessandro Leogrande (nel 2018, Tirana gli ha intitolato una strada). Sono tante le iniziative che coinvolgono Italia e Albania, anche se, con rammarico, dico che siamo ancora lontani da una vera apertura culturale tra i due Paesi o dalla distruzione totale di quel pregiudizio, che vede l’Albania come terra “esotica”. Questo vale anche per le reciproche Istituzioni, ancora poco propense a investire su un interscambio culturale reale. Di strada in tal senso ne è stata fatta, ma il percorso è ancora lungo.

Federico Pani

Una versione ridotta è stata pubblicata sul Piccolo di Cremona del 18 giugno 2022

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