L’insegnamento della grammatica attraverso i meme e i linguaggi dei nuovi media è l’originale approccio su cui si svilupperà un volume di prossima pubblicazione, presso l’editore Carocci, curato da due docenti di linguistica italiana: Debora de Fazio (Università della Basilicata) e Pierluigi Ortolano (Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara). A quest’ultimo abbiamo chiesto di parlarcene un po’ più nel dettaglio.
«Questo progetto nasce dopo una serie di seminari, tenuti da me e dalla collega de Fazio, nei quali abbiamo sperimento il metodo dell’insegnamento della grammatica attraverso il linguaggio dei nuovi media. Al centro del nostro lavoro ci sono proprio i nuovi meme, una forma di comunicazione sulla quale vale la pena soffermarsi, a cominciare dall’origine, ossia dall’etimologia. Forse non tutti sanno che la parola meme non proviene dal linguaggio del digitale: è una parola coniata dal biologo Richard Dawkins sulla base della parola greca mimema, che significa appunto imitazione o esempio. Dawkins modificò la parola originale, rendendola bisillabica e avvicinandola alla parola gene; lo fece per ricalcarne il significato in senso traslato, ossia per indicare l’idea di trasmissione culturale e di unità di imitazione. Del resto, come sottolinea anche Dawkins, la parola è molto simile alla parola francese même, che appunto significa lo stesso.
Detto ciò, crediamo che l’aspetto più innovativo del libro consista nel percorso dell’insegnamento della grammatica: non si parte dall’impartire il classico insieme di regole (la cosiddetta tassonomia grammaticale), bensì dall’errore; in particolare, si considera l’errore così come compare sui social media, possibilmente ricorrendo a meme simpatici o divertenti (tratti perlopiù da gruppi Facebook e Instagram, senza prendere meme o post di persone specifiche). Così, cominciando con un sorriso, si procede poi nella direzione della soluzione corretta. L’obbiettivo, insomma, è che lo studente si ricordi prima di tutto l’errore e che, a partire da esso, risalga poi alla regola.
Per spiegare questo metodo d’insegnamento, ho ripreso il concetto del sentimento del contrario così com’è formulato da Pirandello nel suo saggio L’umorismo: l’autore parla di una signora anziana agghindata in modo talmente eccentrico da suscitare il sorriso; bene, è a partire da quel sorriso che percepiamo però qualcosa di più profondo, ossia l’inadeguatezza di quegli abiti addosso a quella persona e in quella situazione; in noi, insomma, scaturisce quello che Pirandello definisce, appunto, il sentimento del contrario».
Come mai il meme è diventato un oggetto d’indagine così importante?
Nel libro, ci concentriamo soprattutto sui meme, dato che questa forma di comunicazione sembra sia la preferita da chi ha l’età dei nostri studenti. Il meme, se ci si pensa, nient’altro è se non un’immagine con una didascalia: una forma di comunicazione con precedenti molto antichi, come la scrittura paleografica. L’associazione di un’immagine con una scrittura, del resto, è andata avanti fino alle recenti, seppur quasi scomparse, cartoline. Il meme, tipicamente, veicola un’immagine e un messaggio con lo scopo di suscitare ilarità. Della sua efficacia comunicativa si sono accorte, del resto, anche delle istituzioni prestigiose come l’Accademia della Crusca o il vocabolario Devoto-Oli, che ricorrono all’uso di meme; ad esempio, nelle pagine del servizio di consulenza che offre la Crusca compare l’immagine di Batman che dà uno schiaffo a Robin, correggendolo per l’errore di grammatica che Robin ha appena compiuto.
Come risponderebbe a chi sostiene che oggi si scrive peggio rispetto al passato proprio per colpa dei social?
Direi che è vero che oggi non si scrive bene, ma che la colpa non è dei social: come spiega Giuseppe Antonelli, i social sono semplicemente uno specchio. Di più: è del tutto plausibile ritenere che anche trent’anni fa si facessero gli stessi errori, ma che essi restassero all’interno di una scrittura privata, quali un diario, la lista della spesa o, appunto, una cartolina. Non credo, insomma, ci si trovi in una situazione di decadimento, anche perché rispetto a trent’anni fa oggi tutti scrivono; semmai, il problema è che si diano troppo per scontate le regole dell’italiano (dell’italiano dei semicolti digitali segnalo quanto hanno scritto le colleghe Rita Fresu e Francesca Malagnini).
Senza contare che insegnare la grammatica non significa solo insegnare l’ortografia, ma anche occuparsi di strutture linguistiche più profonde, così come affrontare il tema della testualità: non è così?
È così, anche perché la grammatica si è evoluta nel tempo, così come il suo insegnamento, che si appoggia sempre di più alle nozioni introdotte dalla linguistica. Ne è testimonianza la pubblicazione di molti volumi, tra cui cito soltanto quello di Giorgio Graffi e Adriano Colombo, Capire la grammatica con il contributo della linguistica, che è tra i più importanti in tal senso. La linguistica, difatti, si occupa di molti aspetti legati alla lingua, come ad esempio le varietà diafasica, ossia l’alternanza dei registri in riferimento alla situazione comunicativa; basta pensare alla doppia forma del pronome di terza persona lui/egli, da usare in modo intercambiabile, anche nello scritto, sulla base della solennità del tono che si deve o si vuole adottare. Una parte importante del volume, d’altro canto, consisterà proprio in una serie di esercizi proprio per acquisire la consapevolezza dei diversi livelli di cui è composta una lingua; ad esempio, si forniranno meme sgrammaticati da correggere, così come anche però dei brevi testi che compaiono in rete – come una delle tante recensioni presenti su Tripadvisor – da riscrivere in un italiano standard.
In conclusione, direi che il metodo dell’insegnamento della grammatica attraverso il linguaggio dei nuovi media serve anche per ovviare alle difficoltà che presenta il semplice insegnamento teorico della lingua. Si pensi al caso della punteggiatura: anziché partire dalla definizione, perché non partire dall’uso concreto? C’è un meme nel quale si alterna la scritta vado a mangiare, nonna e vado a mangiare nonna: in questo caso, non ci si può limitare a dire che la virgola è una pausa intermedia tra punto e punto e virgola, ma anche che ha una funzione logico-sintattica, così come recentemente ha sottolineato Antonio Montinaro in un suo articolo sull’uso della punteggiatura nella scuola primaria; nel primo caso, infatti, avviso nonna che vado a mangiare, mentre nel secondo affermo che me la mangerò. Insomma, si tratta di applicare alla grammatica tradizionale il mezzo oggi preferito dai ragazzi, con lo scopo di renderla più intuitiva e semplice da imparare.
Una versione ridotta è comparsa sul Piccolo di Cremona del 14 maggio 2022