L’italiano della trap, l’intervista a Luisa di Valvasone

Nato 20-30 anni fa negli Stati Uniti, in Italia il genere musicale trap ha cominciato ad avere un largo successo tra i giovani e i giovanissimi dalla seconda metà degli anni Dieci, grazie anche all’originalità dei testi; ne analizziamo allora l’aspetto linguistico, con Luisa di Valvasone (nella foto), che nei suoi studi si è più volte occupata di gergo della trap e di linguaggi giovanili.

Quali sono le caratteristiche più notevoli della lingua della trap?

La trap è stata contrassegnata fin da subito dall’innovazione linguistica, sotto forma di neologismi e gergalismi. Larga parte di questo gergo è stata ereditata dalla trap originaria statunitense; moltissimi dei neologismi, dunque, sono anglismi. Tra i primi a suscitare interesse ci sono stati eskere e bufu (a cui anche l’Accademia della Crusca dedicò ai tempi una scheda di approfondimento nella sezione Parole Nuove del suo sito): il primo è una contrazione di let’s get it (“facciamolo”), il secondo è un acronimo, contenente una parolaccia, buy us f*** you, che significa – attenuandone la volgarità – “puoi andare a quel paese”; bufu, peraltro, era diventato un aggettivo, dato che a usarlo in questo modo e a diffonderlo erano state le canzoni della Dark Polo Gang. È interessante notare che queste, come altre espressioni, dopo essere state in uso nel linguaggio giovanile proprio grazie alla trap, sono poi passate di moda. È altrettanto vero che altre parole, invece, sono entrate più stabilmente nel lessico giovanile: penso all’anglismo flexare (“vantarsi”, “ostentare superiorità”).

Come nel caso di altri neologismi è difficile stabilire se a introdurli e diffonderli sia stata la trap o siano stati i social network, non è così?

In questo discorso, bisogna tenere presente che i social e la musica trap sono ambiti che si influenzano reciprocamente e dai confini labili (e i social network, del resto, sono strumenti di promozione per molti trapper). Nel linguaggio giovanile, ma anche nel caso della trap, c’è una mescolanza di gergalismi ed espressioni provenienti da costellazioni diverse della rete – basterebbe pensare ai videogiochi –, così come da altri generi musicali: moltissime canzoni che si trovano nelle playlist delle piattaforme di ascolto sono ibridazioni di generi musicali diversi (sono dette featuring). La trap, dunque, influenza ed è influenzata dagli altri generi musicali, soprattutto dal genere che le si avvicina di più e con il quale è ormai sempre più mescolata, cioè il rap; ne deriva l’importazione di appellativi tipici del rap, come fra (contrazione di “fratello”) e la variante anglofona bro (contrazione di brother) o le minoritarie frate e frero (e, talvolta, ancora zio); questi appellativi sono usatissimi anche nelle conversazioni informali tra i giovani. Certo, nella trap c’è un’ostentazione di machismo che fa sì che gli appellativi femminili abbiano una forte connotazione maschilista: è il caso di bitch. Questo modo di esprimersi, va detto, fa parte dell’immagine – veritiera o no – che i trapper vogliono dare di sé stessi nelle loro canzoni, quel che nel mondo rap viene da sempre definito come street credibility; dipende, insomma, dalle sfere semantiche proprie della trap, come l’ostentazione della vita criminale e del lusso o l’esaltazione della droga. E però non c’è da stupirsi: sono i temi tipici di una comunicazione giovanile che, direi da sempre, si vuole trasgressiva e ribelle.

Nella trap, l’impressione è che le parole talvolta siano più importanti della musica: non credi che questo allarghi le potenzialità espressive di chi ha l’urgenza di dire qualcosa e permetta di farlo con un stile personale?

Nei primi anni, la trap esprimeva un’esigenza di rottura, tanto che il linguaggio era decisamente provocatorio più che innovativo. Negli ultimi anni, col crescere e maturare dei trapper in prima persona, il genere ha mostrato sempre meno il bisogno di un atteggiamento ribelle; questo ha comportato, oltreché sui temi, anche una maggiore riflessione sul linguaggio. Ciò è avvenuto senza che si rinunciasse ad alcuni gergalismi e a una sintassi sempre mirante alla dialogicità del parlato. Restano naturalmente importanti le sfere semantiche più tipiche: i soldi, la criminalità, il disagio, il sesso le droghe e la gang;in quest’ultimo aspetto tematico, quello legato al gruppo e alla socialità, si continua altresì amarcare una il senso di appartenenza a un gruppo (“noi”) e di distanza dagli altri (“loro”) – e, tra l’altro, insieme ai bro e ai “fra” compaiono anche gli “infami” o, usando un equivalente gergalismo anglofono, gli snitch–. Pur senza rinunciare perciò del tutto alle costellazioni semantiche del genere, dunque, sempre più autori appaiono intenzionati ad allargare il campo lessicale e tematico delle loro canzoni; è il caso, per fare giusto un esempio, di Thasup (Tha Supreme fino a poco tempo fa), che ha uno stile di composizione decisamente elaborato. Ma possiamo citare anche Rosa Chemical, ChadiaRodriguez, Geolier o i percorsi musicali di artisti notissimi come Ghali eRkomi.

Non credi che, parlando di competenza linguistica, sia sbagliato imputare a questo o ad altri generi musicali un’influenza negativa sui giovani?

Credo sia fuorviante gridare allo scandalo, pensando che i testi della trap siano, per così dire, i maestri d’italiano dei giovani o lo specchio del loro modo di parlare. Semplicemente, non è vero: innanzitutto, la musica da sempre ha avuto un linguaggio specifico. Anche il rap negli anni ’90 ha certamente influenzato i linguaggio dei giovani dell’epoca; ma la sua influenza si è limitata ad alcuni usi e a certe espressioni gergali che sono penetrate nei linguaggi giovanili del tempo e, in qualche caso, negli usi colloquiali e informali, fino ad oggi. I giovani, poi, sono naturalmente aperti all’innovazione linguistica, l’importante è che abbiano la capacità di capire la differenza netta che c’è tra un testo musicale e un tema a scuola, tra una conversazione tra coetanei e un colloquio di lavoro. Insomma, non credo sia la trap, ma nemmeno la rete o i social network, a impoverire il linguaggio dei giovani: il vero problema è la carenza di una competenza linguistica che, in buona misura, dipende dall’istruzione.

La questione cruciale è comprendere che la lingua non è immobile, né immutabile: è composta da molte varietà linguistiche che è opportuno usare in alcuni ambiti e in altri no. Usare bro, cringe, flexare o snitch in un testo musicale o in una chat di Whatsapp non è sbagliato di per sé: lo diventa se si cominciano a usare queste espressioni in ambiti inappropriati, perché significa non aver capito che esistono differenti registri linguistici, che – come dicevo – hanno diversi contesti d’uso. Insomma, va benissimo usare alcune espressioni gergali della trap in contesti informali. Quello che conta davvero è disporre di un repertorio lessicale tale da poter facilmente tradurre il significato di quelle espressioni in contesti comunicativi diversi.Da questo punto di vista, non credo però si debbano biasimare gli insegnanti: è una questione molto più complessa, dal momento che riguarda, piuttosto, il sistema dell’istruzione nel suo complesso.

Federico Pani

Una versione ridotta dell’intervista è comparsa sul Piccolo di Cremona del 15 aprile 2023

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