“Istria – Quarant’anni nella tempesta che ha sconvolto tutti e risparmiato nessuno”, di Virgilio Iacus

C’era un tempo in cui, lungo la costa che da Trieste va fino alle Bocche di Cattaro, oggi Montenegro, avreste potuto fare tappa in città dall’insolito aspetto familiare, sentendo parlare molti dialetti, ma tutti simili al veneto. Oggi, quel mondo non esiste più. Questo fenomeno, scrive lo storico Raoul Pupo (di cui in rete si trovano ottimi interventi di divulgazione), “Lo possiamo chiamare «la catastrofe dell’italianità adriatica», intendendo con questa definizione – certamente un po’ drammatica, ma tutt’altro che eccessiva – la scomparsa dalle sponde adriatiche della forma specifica di presenza italiana che lì si era costituita come ultimo atto di una vicenda storica iniziata all’epoca della romanizzazione: una scomparsa quasi totale, poiché oggi di essa rimangono solo alcune reliquie, fatte di pietra – molte – e di persone, assai meno numerose, che configurano un tipo diverso ed inedito di presenza italiana”.

Il discorso sulla fine di quel mondo, in particolare dell’italianità istriana, è ben più complesso della facile strumentalizzazione che ne fa oggi una certa politica. Certamente, a partire dalla fine della Prima guerra mondiale, la storia cominciò decisamente ad accelerare e, purtroppo, anche a diventare più violenta. Lo evidenzia bene l’esule istriano Virgilio Iacus nel suo libro “Istria – Quarant’anni nella tempesta che ha sconvolto tutti e risparmiato nessuno”, edito dalla casa editrice tarantina Antonio Mandese. Il libro esce, non casualmente, negli stessi giorni in cui si celebra il “Giorno del ricordo”, che ha sempre di più il sapore di un’occasione mancata, quantomeno per inquadrare le vicende di allora nell’ottica delle conclusioni a cui è giunta la storiografia. Giusto, dunque, ricordare le vittime delle Foibe e il dolore di un popolo costretto ad abbandonare la sua terra, ma rifiutando, lo scrive Iacus, brutali semplificazioni, come la leggenda della pulizia etnica voluta dal maresciallo Tito.

Per ricostruire le vicende – che vanno dall’inizio della guerra, nel 1915, all’anno in cui Trieste tornò all’Italia nel 1954 – Iacus fa ricorso sia alla propria biografia di esule, sia alla ricerca compiuta sulla documentazione del “Centro di ricerche storiche di Rovigno”, in collaborazione con l’Università Popolare di Trieste. Lo scopo del libro è ben riassunto dalle parole dell’autore: “La verità va sempre ricercata, non certo per sete di rivalsa, ma perché rappresenta l’unico serio modo per favorire la riconciliazione delle persone e dei popoli, spesso dimentichi di vivere in uno stesso condominio e portatori di storie indissolubilmente intrecciate tra loro”.

Federico Pani

Il Piccolo di Cremona, 12 febbraio 2022

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