“Lezioni di felicità”, di Ilaria Gaspari

Accostare le esperienze di vita ai classici può rivelarsi un esercizio scivoloso sia dal punto di vista narrativo sia teorico. Lezioni di felicità – Esercizi filosofici per il buon uso della vita, di Ilaria Gaspari edito da Einaudi (145 pp. € 13,00) ha superato l’insidia ed è diventato un successo di pubblico che sta portando l’autrice un po’ in tutta Italia a presentarlo.

La protagonista è una donna che si guadagna da vivere scrivendo. È, come l’autrice, laureata in filosofia. Vive una crisi personale dovuta alla rottura di una lunga relazione e a un trasloco, che le consente però di rispolverare – letteralmente e letterariamente – alcuni libri dell’università. In particolare, quelli dedicati alle scuole filosofiche dell’antichità.

Comincia allora un percorso di rimonta personale: dalla scuola pitagorica, imparerà a vincere la pigrizia con il rispetto di alcune regole, per quanto assurde; da quella eleatica, a non creder che la vita vada sempre in una direzione necessaria; dalla scuola scettica a diffidare delle convinzioni subitanee; dagli stoici e dagli epicurei a ridimensionare le aspettative e a troncare ogni radicalismo; dai cinici, a bastare a sé stessa.

Per farsi un’idea dell’incedere del libro, si prenda la settimana eleatica, dedicata alla scuola omonima, la più difficile perché la più astratta. Dopo aver introdotto Parmenide all’ombra del tema del parricidio – letterario – operato da Platone, Gaspari si concede un intermezzo narrativo, passando in rassegna  gli oggetti domestici pronti per il trasloco, constatando:

Tutto questo, anche se non sembra, ha molto a che fare con Parmenide e la mia iscrizione alla scuola eleatica. È stato quando il trasbordo era ormai quasi finito, e il camioncino era già partito, quando mi pareva che in casa non ci fosse quasi più niente… è stato allora che ho scoperto che in certe circostanze particolari come quella del trasloco, un numero finito di oggetti si può suddividere in una quantità pressoché infinita di contenitori, scatoloni, valigie e – soprattutto – viaggi alla casa nuova. Non avevo mai guardato così da vicino una dicotomia all’infinito; mai mi era sembrato più reale, più tragico e più assurdo, il famoso paradosso di Achille e della Tartaruga.

Come si può notare, lo stratagemma è ironico e ben narrato.

Si passa poi con agilità agli altri paradossi di Zenone, non dopo aver descritto il personaggio, litigioso e belloccio discepolo di Parmenide, forse suo amante; tra i paradossi, viene scelto quello della freccia. La protagonista si rende conto che, come la freccia di Zenone, la sua vita si è composta di stadi successivi di immobilità apparentemente in movimento. O meglio: di istanti a sé stanti erroneamente creduti orientati verso qualcosa. Di qui, la necessità di vivere ogni momento per quello che è, e non in una prospettiva teleologica.

In questo libro, Ilaria Gaspari combina l’aneddoto (la burrascosa esistenza di Zenone, per esempio) con l’osservanza ai testi (il riferimento a Diels-Kranz), rivitalizzando le personalità dei filosofi presentandone il carattere. Scrive in modo chiaro e si aggrappa alla lucida concretezza di chi, come la protagonista, lotta con la depressione; concretezza che avvolge anche le metafore (come frecce, “pensiamo… di dover conficcarci nel bersaglio, tremante intorno alla punta affilata che ha colpito…”). Fa sbocciare  insomma i frutti dell’amalgama tra il pensiero e la vita della protagonista più per associazione di idee che per un forzoso gioco a incastro; e se qualche volta l’episodio narrato tradisce il fatto di essere orchestrato per attagliarsi al momento, lo fa per esigenze narrative. Insomma: la formula, a metà tra romanzo e saggistica, regge.

Cafè Golem, 11 novembre 2019

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