“Una visita al Bates Motel” di Guido Vitiello

Prendetelo come un saggio, un catalogo d’arte e una raccolta di mirabilia insieme: giustificherete il formato e il prezzo di “Una visita al Bates Motel” di Guido Vitiello (Adelphi, 38 euro, pp. 251). Il libro è una visita nelle stanze del motel dove si svolge il celeberrimo Psycho (1960) di Alfred Hitchcock: un’autentica “Camera delle meraviglie”, uno di quei “gabinetti delle curiosità”, tipici delle abitazioni aristocratiche europee, stracolmi di oggetti straordinari a beneficio della meraviglia dei visitatori. E il libro è, a sua volta, una Wunderkammer, degna delle originali. Grazie a un’analisi che ha condotto fotogramma per fotogramma, Vitiello si sofferma su un catalogo di oggetti che mai avremmo potuto notare da soli: quadri e sculture, soprattutto, che fanno tendere il braccio della pellicola fino al mito greco.

L’idea di portare gli spettatori virtualmente in gita sul set, ancorché a scopo promozionale, era venuta, del resto, al regista stesso; così come alcuni commentatori avevano già inventariato le opere di cui si sapeva che il film era disseminato. Ma oltre a reperire qualcosa che era sfuggito anche agli inventari più solertemente compilati, Vitiello fa di più. Per prima cosa, riporta la falsa notizia secondo cui il film si sarebbe intitolato “Psyché”, un refuso divulgato a mezzo stampa e mai smentito. Di qui, svolge un’interpretazione del film che fa ruotare il discorso su un perno preciso: il “sesso metafisico”, indicato dal regista in un’intervista come il tema portante, ma considerato allora, come oggi, poco più di una freddura.

Quest’acribia filologica e la precisa chiave interpretativa del sesso metafisico fanno sì che “Una visita al Bates Motel” superi il saggio compilativo e diventi vera opera esegetica che ha la forma di una visita guidata: un libro dove i tableaux vivants e l’agalmatofilia – la passione morbosa per le statue, confessata curiosamente tra l’altro anche da Flaubert – sono solo le prime tappe del viaggio.

A impreziosire il libro, oltre alla galleria di fotografie che si snoda a corredo tra le pagine, c’è poi lo stile estroso di Vitiello, funambolico nel tenere in equilibrio l’erudizione e il tono scherzoso. Nel passo dove compaiono sul set “Amore e Psiche giacenti” di Antonio Canova c’è un bell’esempio di descrizione erudita e minuziosa; mentre un esempio di ironia (preso davvero a caso, sfogliando il libro) è la descrizione del regista in apertura del trailer di “Psycho”, a metà tra il sacerdote rituale e il cicerone: “sullo spiazzo in terra battuta davanti al Bates Motel, con le mani in tasca e l’aria di cortese impazienza di chi sia in attesa del pullman di un gruppo turistico”.

Ecco, invece, un passo in cui Vitiello parla del rapporto tra “Psycho” e il film precedente girato da Hitchcock, “La donna che visse due volte”:

Appena due anni prima [Hitchcock] era sgattaiolato fuori da quella toletta neoplatonica dove l’amata era l’immagine, ricreata per virtù di cosmesi, di una morta che a sua volta era la copia vivente del ritratto di un’altra donna sua antenata – mise en abyme vertiginosa, degna di quel passo di Ficino a commento delle Enneadi dove è detto che l’artista è lontano dalla realtà quanto un uomo che fa la statua di sé stesso, la dipinge e poi cattura il riflesso del quadro in uno specchio.

Vitiello prende la rincorsa dall’interpretazione del primo dei due film di Hitchcock e, grazie al trampolino offerto da un’arte visiva, la mise en abyme, spicca un balzo vertiginoso e atterra sulle pagine di un umanista del Quattrocento, commentatore dell’opera di Plotino.

Federico Pani

Café Golem, 20 aprile 2020

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