“Casa di carte. La letteratura italiana dal boom ai social”, di Matteo Marchesini

Dopo una vicenda editoriale un po’ travagliata, esce il libro di Matteo Marchesini Casa di carte – La letteratura italiana dal boom ai social, edito dal “Saggiatore”. Oltre alla raccolta Da Pascoli a Busi, i fan del giovane critico bolognese troveranno riuniti qui, finalmente, anche i suoi interventi giornalistici più rilevanti. Il travaglio è presto detto: Antonio Franchini, già direttore della narrativa Mondadori e ora ricoprente lo stesso ruolo presso Giunti, non poteva permettere che Bompiani (dello stesso gruppo) pubblicasse un libro con stroncature di alcuni autori della sua scuderia.

Certo: le cosiddette stroncature che tanto hanno fatto arrabbiare Franchini – ma perché non chiamarle riletture critiche?, in fondo, gli autori in questione sono già famosi e i loro libri largamente venduti – sono severe, spietate a tratti; e davvero gustose. Ma Marchesini è più ambizioso: non è un semplice bastonatore di contraffattori letterari, ed eccolo costruire con questo libro – pur senza dirlo apertamente – un nuovo canone della letteratura italiana, al di fuori dei sacri recinti della benedizione accademica ed editoriale; preferisce Domenico Rea a Pasolini, Saba a Montale; Moravia a Cassola. E, insomma, quasi tutti a Gadda. O meglio (e fuor di boutade): l’ingegnere più celebre della nostra letteratura diventa – anche per la grandezza del mestiere, si capisce – un bersaglio polemico, per lo stile barocco e la “falsa coscienza” di chi nasconde dietro il virtuosismo poco da dire. Lo stesso vale, con qualche aggravante, per la schiera di finti rivoluzionari come “l’esercito di sistemati” del “Gruppo 63” o i capziosi letterati strutturalisti, francesi di preferenza.

Leggendo il libro e, soprattutto, le pagine dedicate al poker di critici – Cesare Cases, Luigi Baldacci, Cesare Garboli e Alfonso Beradinelli – ci si rende conto quanto Marchesini abbia imparato da loro con profitto. Oltre alla libertà e al disinteresse di Berardinelli, Marchesini usa magistralmente un tessuto di «sapide metafore», tipico dell’opera di Cases. Una buona epitome del metodo usato da Marchesini sta in coda al brano dedicato ai Lettori selvaggi di Montesano: «si tratta di fare il “vuoto anagrafico” (come definì Alessio Martini il metodo del critico Baldacci) intorno alle opere e agli autori, cioè di mostrarne il valore e la singolarità irriducibile astraendo il più possibile dall’auctoritas accumulata intorno a loro nel tempo, dagli ipse dixit, dalle mitizzazioni e dalle mistificazioni». La controprova arriva con la fulminante descrizione della presenza di Carmelo Bene al Costanzo Show, spettacolo pop «dell’artista trattato da essere soprannaturale e superstizioso protetto da ogni critica».

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